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Il Re Leone (2019)

Questo nuovo live-action ripropone in maniera molto fedele la storia originale. Anzi, si può affermare senza problemi che il lungometraggio del 2019 sia una ripresa shot by shot del classico d’animazione del ’94. Le scene sono quindi riproposte in maniera esatta, a esclusione di alcuni casi in cui ci sono scene nuove, alcune rese più lunghe e altre ancora sono state modificate rispetto all’originale, rendendo di fatto questo remake un po’ più lungo rispetto al cartone animato. Miscelando comunque stile documentaristico e tecnologia animata all’avanguardia, Favreau e il suo team sono riusciti a confezionare un titolo visivamente sbalorditivo, qualcosa di mai visto prima, perché interamente creato in CGI.

Senza criticare la competenza tecnica, parliamo della poca espressività e il poco coinvolgimento che una realizzazione così realistica ha dato al film. Per forza di cose, riproducendo su schermo animali molto simili alla realtà, questi non potranno fare spallucce, alzare il sopracciglio e piangere come facevano nel cartone animato.

La resa così realistica del mondo animale, però, più che generare distacco e poca emotività, può creare l’esatto opposto. Ad esempio, in una delle scene iconiche del film, quella della morte di Mufasa, tutti ricordano perfettamente il piccolo Simba che si avvicina al padre tentando di svegliarlo muovendo le zampe come se cercasse di dare un lieve scossone al leone. Si tratta di un movimento che nessun felino farebbe in natura, e infatti nel riadattamento in live-action il piccolo Simba poggia la zampetta sul muso del padre.

Lato visivo, dunque, nulla da eccepire, se non fosse per una perdita importante di magia. Non fraintendetemi: l’animazione fotorealistica fa il suo dovere e la narrazione non subisce nessuno sbalzo che tiri fuori dai binari del racconto classico la trasposizione, eppure questa Savana dipinta in CGI, spegne radicalmente l’incantesimo dell’animazione tradizionale. Questo crea una sorta di cortocircuito, rendendo il Re Leone uno degli adattamenti più fedeli e riverenti al materiale originale ma anche uno dei più vuoti, soprattutto quando si tratta delle coreografie legate alle canzoni, che perdono quella vena magica e fantasy con cui erano state ideate. Succede in particolar modo con “Voglio diventar presto un re“, che abbandona la piramide di animali per una sfilata incolore, e “Sarò re“, eseguita perfettamente da un eccezionale Massimo Popolizio (non fa rimpiangere nemmeno per un secondo Tullio Solenghi), che esteticamente è molto piatta e si lascia alle spalle quegli efficaci richiami al totalitarismo che davano carisma e importanza alla scena.

Un film da vedere per gli effetti grafici ma niente di più

VOTO FINALE: 7

RECENSIONE DI PRAITS

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